domenica 5 agosto 2012

Vacanze d'autore

In questi giorni di vacanza ad Ostia ho letto un bell'articolo su Repubblica che riporto integralmente. Si tratta di un racconto su come uno scrittore di Ostia vede la sua citta'.Potete godervelo insieme alle note della canzone di Jack Johnson - Upside down che ci invita a non fidarsi di quello che spesso e' considerato come normale,  bisogna sempre aver voglia di girare il tutto a testa in giu' per vedere se le cose stanno proprio come sembrano ! 


"I want to turn the whole thing upside down
I'll find the things they say just can't be found"



VACANZE D'AUTORE

La finestra sul mare
Ostia città divisa

Tra il levante esclusivo e il ponente più povero. A destra del pontile il lungomare si restringe e le case sono condomini in puro stile geometrile anni '60 e '70. Dopo il porto turistico c'è l'Idroscalo

di BEPPE SEBASTE
Anche se è grande e popolata come una città, mi piace che Ostia sia solo un distretto di Roma col mare. Quella di Lido centro sembra una vera stazione, anche se ci arriva solo il trenino che parte dalla Piramide, ed è bello da lì camminare in via della Pineta o nella strettissima via dei Fabbri Navali, nucleo originario di Ostia che ricorda l'atmosfera di Monteverdevecchio o del Gianicolo. In via degli Acilii c'era un'osteria in un giardino, sotto una tettoia di vigna, "da Oscar", oggi solo rivendita di vino per gli intimi. Sembra di stare in un altro mondo. Suppongo però che devo parlare di spiagge.

 Le più eleganti sono quelle di levante (le più "esclusive" sono ancora più giù, verso Castelfusano, dove le cabine si tramandano in famiglia), ma io vado a ponente, a destra del pontile, nella cosiddetta "Ostia destra". E' più povera, il lungomare si restringe e le case sono condomini in puro stile geometrile anni '60 e '70. Ci sono le ex colonie fasciste (dove il sindaco Alemanno vorrebbe fare un casinò) che ospitano, perfetta nèmesi, una varietà di minoranze e disagiati, tra cui la moschea e la mensa della Caritas, appartamenti occupati da colorati extracomunitari e la bellissima biblioteca Elsa Morante, rifugio di quegli speciali disadattati che siamo noi lettori di libri. Il tratto di lungomare chiamato Duca degli Abruzzi, poco più avanti, fino a qualche anno fa era addirittura malfamato, ma ha il privilegio di offrire il sollievo della
vista di mare e spiagge libere a chi cammina  sul lungomare appunto, non un "lungomuro" come quasi ovunque a Ostia. Alla fine del lungomare di ponente c'è il nuovo porto turistico, e in estate, all'ora giusta, il sole tramonta così esattamente alla fine della strada da meritare pienamente l'appellativo di Sunset boulevard...

 Dopo il porto turistico c'è l'Idroscalo. Era una sorta di favela sulla foce del Tevere, cosi chiamata per gli idrovolanti che nel ventennio fascista partivano da qui (Fiumicino sarebbe nata più tardi). Ci si arriva lasciandosi alle spalle i palazzoni edificati per i senza casa dal sindaco Petroselli negli anni '80, si costeggiano i cantieri navali coi lussuosi yachts ancorati, e l'oasi della Lipu con il monumento a Pier Paolo Pasolini (nel luogo preciso in cui fu ammazzato), dove volteggiano a volte fenicotteri bianchi e rosa. Sulla destra, in una polverosa distesa, l'ottagonale torre di avvistamento progettata da Michelangelo, detta anche "Torre di San Michele", abbandonata da anni a non essere vista né ad avvistare più nulla. Finché la strada finisce, tra il mare e il nulla, un nulla non privo di dolcezza dai colori pastello, dove in una spiaggetta rocciosa giocano e nuotano bambini e famiglie superstiti, e la finestrella di una casetta con le foto di gelati rivela un bar. Sembra di tornare agli anni '60, o prima. Era, e in parte è ancora, un mondo sopravvissuto di estremamente poveri e precari, case e baracche di materiali di risulta che ospitano centinaia di persone e di famiglie, italiane e non. Nella miseria, statuine di Padre Pio, vasi di fiori, decorazioni sulle porte. Sembra uscito dal remake di un film di Pier Paolo Pasolini diretto da David Lynch, se penso agli uomini e donne coperti di tatuaggi che vidi in festose serate estive alla luce rubata dai pali elettrici, animate dal karaoke, da balli e dall'elezione di Miss Idroscalo. E soprattutto alla devozione quasi pagana, forse per questo ancora più religiosa, della festa dell'Assunta il 15 agosto, detta anche Festa del Mare: quando il barcone con la statua lignea della Madonna, i lunghi capelli sciolti come nella canzone di De André, prende il largo, e i poveri festeggiano a fianco delle autorità in una solennità iperreale e sballata, come i fuochi d'artificio fuori sincrono. Catarsi di una comunità disaggregata degna di essere raccontata in un film, ma oggi dispersa dalle ruspe, complici probabilmente dall'ennesima speculazione urbanistica.

 Ho un amico poeta che abita a Ostia destra, con una terrazza che si affaccia sul lungomare e la spiaggia. Vado spesso da lui a pranzo o cena (è un ottimo cuoco), poi magari resto lì per una breve vacanza. Eccomi dunque qui a guardare il mare e la spiaggia dall'alto nell'ora che preferisco, quella in cui si svuota, gli stabilimenti chiudono come gli ombrelloni e tutto acquista luce e spazio abitabile, e sarebbe bello scendere a nuotare. Ma alle 19,15 circa gli stessi stabilimenti balneari si cambiano d'abito per la loro second life, annunciata da musiche dapprima soffuse, poi dilatate in una poltiglia sonora incongrua e ad altissimo volume. La concorrenza dei bar della spiaggia non risparmia nessuno: percussioni africane versus tromba romantica, Besame mucho contro rock italiano anni '60, disco music e perfino, sulla pedana di un ristorante, una soprano dal vivo.

Tutto questo, fuso in un brusioremix, mi arriva come refoli di vento, come aromi di cucina che mischino tra loro pietanze diverse. Quando il sole è ormai atterrato da un pezzo all'Idroscalo, e un argento uniforme confonde cielo e mare, a un certo punto un pianoforte classico rivaleggia con l'immancabile Folle idea di Patty Pravo, e tra i due motivi prevale il basso della voce di Louis Armstrong in What a wonderful world: è il segnale. In cielo resta un vago alone rosa, il resto è buio, il porto turistico con le sue torrette sembra il profilo di un'Istanbul in miniatura, e il popolo dell'happy hour comincia a fluire e invadere le spiagge come zombi teneri e sonnacchiosi. E' la globalizzazione della sbronza, nel frastuono babelico della notte rutilante. C'è la spiaggiabalera e quella pianobar, quella pub e quella discoteca e così via, a ognuno la sua musica. A giudicare dal flusso di corpi che dai marciapiedi del lungomare entra negli stabilimenti, la spiaggia è più gremita che di giorno...

Poi bisognerebbe descrivere l'incanto del mattino presto, il chiarore terso e pulito del mare. Le spiagge vuote e struccate, senza il belletto notturno, percorse dai trattori che le spianano come tosaerba, sorprendono per la loro freschezza nella luce silenziosa del giorno. Certo, ci si chiede perché quel bar con le capanne sulla sabbia debba chiamarsi Polynesian Cocktailbar, e cos'abbiano di polinesiano i condomini di fronte. Ma questa, e il divario tra le parole e le cose, è un'altra, vecchissima storia.
(05 agosto 2012)

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